Le Figaro intervista Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia

Non baciamo le mani

foto Apcom

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Traduzione dal francese di Andrea G. Cammarata, articolo originale: Le Figaro di Richard Heuzé

Proponiamo l’intervista al procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso,  pubblicata oggi da Le Figaro. Tuttavia prima, è necessario sottolineare le tendenziosità liberal-francofone del quotidiano, che sembrano far passare fischi per fiaschi. L’articolo si apre con l’elogio classico della governance berlusconiana nella lotta alla mafia, travisandone i veri cacciatori: magistratura e forze dell’ordine. Umiliare la lotta alla mafia di costoro, in cambio di slogan da propaganda, è a dir poco infame. Tanto più quando costoro operano in assenza di risorse concrete, costantemente denigrati dal Capo del governo e minati da disposizioni assurde. Senza tralasciare di quanta vergogna susciterebbe, essere rappresentati da un senatore condannato in appello per mafia e dal suo amico, sul quale i sospetti si ammucchiano all’ombra dell’impunità di Stato, di cui lui stesso è autore. Sono le briciole di Marcellino, che da qualche parte porteranno…

Quanto ai fardelli cui tocca alle forze dell’ordine sottostare, c’è anche l’onorevole Cosentino, che resta in politica nonostante una richiesta di arresto per camorra. E c’è la Commissione Mantovani, che ha privato del programma di protezione Gaspare Spatuzza, il pentito del momento. Opinabile in questo contesto, titolare un articolo “la mafia non ha più un direttivo strategico” quando la si vede recitare in politica, o quando chi è accusato di farne parte proclama altri mafiosi come eroi, vedi dell’Utri con Mangano. E’ opinabile rammentando Cuffaro, ex-governatore della Sicilia, recentemente proposto a 10 anni di reclusione per mafia dai pm. Ed è opinabile quando i mafiosi li si trova a Marsiglia, a casa dei francesi, come nel caso del boss Falsone. O in Germania, ad Hannover, dove i siciliani ieri hanno ucciso, a quanto pare solo per il calcio, figuriamoci se non per altro.

Amici suggeriscono, che la mafia forse è silente e appare senza “direttivo strategico”, poiché ben radicata in politica. Il sentore, il legittimo sospetto, lo danno decisioni inaudite come quella della Commissione Mantovani. Per cui gentilmente Idv ha chiesto le dimissioni dell’onorevole Mantovani, specificando che, quanto al ritardo fuori termine massimo delle dichiarazioni di Spatuzza, asseriva il falso (Il Fatto). Più palese ancora è il caso del Ddl intercettazioni, che impedisce alla magistratura il sereno svolgimento delle indagini favorendo la mafia in favore della privacy, e imbavagliando la stampa. Non omettiamo un presidente del Senato, ex socio di mafiosi. E un ministro della Giustizia, cui si appongono strane vicende del passato, e che fra l’altro, recentemente tramite il suo ministero, ha elargito milioni di euro alla cooperativa di un monsignor suo compaesano, per la riabilitazione professionale dei detenuti (La Stampa 7 Luglio). Messe queste basi, si può leggere più serenamente l’intervista al nostro procuratore antimafia, Pietro Grasso.

Pietro Grasso: la mafia non ha più un direttivo strategico

Per il procuratore antimafia italiano la riconquista del Paese contro la Piovra va avanti.

Italia

A due anni dal ritorno al potere di Silvio Berlusconi, il bilancio della lotta alla mafia è eloquente: 5500 criminali arrestati, fra cui 24 dei 30 mafiosi latitanti considerati fra i più pericolosi d’Italia, e più di 200 miliardi di euro di beni confiscati messi a disposizione delle forze dell’ordine e delle associazioni antimafia. Intervistato dal quotidiano Le Figaro, Pietro Grasso, magistrato di 65 anni nominato nel 2005 procuratore nazionale antimafia, afferma che la Piovra “non è più in grado di sferrare grandi attentati contro lo Stato come negli anni ’80 e ’90”.

Confisca dei beni

Comincia dall’arresto a Marsiglia di Giuseppe Falsone, per il quale i tribunali francesi venerdì hanno concesso l’estradizione, cui il mafioso può tuttavia ancora fare appello. Falsone diviene il capo supremo della mafia agrigentina su investitura di Bernardo Provenzano, il padrino arrestato nel 2006 dopo 43 anni di latitanza.

“Era uno degli ultimi boss ancora in fuga. Si era recato recentemente a Marsiglia perché si sentiva braccato”, dice il procuratore. Lontano dal loro territorio i padrini non resistono mai a lungo: “il mafioso, è niente se non resta nel suo feudo. Soprattutto se è in latitanza. Necessita di protezione e di contatto quotidiano con il suo ambiente malavitoso. Non esiste un boss che comanda dall’estero”, aggiunge Piero Grasso.

Ci sarebbe il caso di Matteo Messina Denaro (48 anni), l’ultimo “nemico pubblico numero uno”, già condannato all’ergastolo: “Secondo noi potrebbe essere ancora nella sua provincia di Castelvetrano (Trapani), dice il procuratore. Che giudica la mafia siciliana “meno pericolosa” rispetto ad altri tempi. Il suo”direttivo strategico” è stato smantellato dopo la cattura del sanguinario Totò Riina, nel 1993.

“La mafia prima contava 500 membri. Oggi si può ragionevolmente stimare che siano la metà, peraltro il livello di reclutamento di nuovi affiliati si è degradato parecchio. Piccoli trafficanti di droga sono stati promossi al rango di uomini d’onore senza averne né la capacità, né l’intelligenza strategica”, dice Piero Grasso.

Giovanni Falcone, il magistrato assassinato nel maggio del ’92, diceva che “la mafia sarà distrutta quando verrà ridotta ai livelli di una organizzazione criminale qualunque. Fintantoché essa continua a beneficiare d’infiltrazioni nella società civile e nel mondo degli affari, sarà difficile annientarla”. E’ per questo che il procuratore Grasso, personaggio molto rispettato in Italia,  si è felicitato riguardo la diffusione delle iniziative antimafia nella società italiana: comitati anti-racket come “Addio Pizzo”, cooperative di gestione delle terre confiscate alla mafia come “Libera”, iniziative di educazione alla legalità  nelle scuole siciliane, etc. “Questo ci ha permesso di fare dei grandi passi avanti mettendo la società civile dalla parte dello Stato”.

Altro elemento fondamentale: la confisca dei beni mafiosi. “un pentito ci diceva che i mafiosi sono disposti ad accettare la prigione, ma non che lo Stato metta le mani nelle sue tasche. Le leggi votate in Parlamento cominciano a portare i loro frutti.”

A Napoli sono stati inflitti duri colpi al clan dei Casalesi, che ha fondato un impero da trenta miliardi di euro sul modello della mafia siciliana. “I principali capi sono dietro le sbarre. Quando verrà la volta degli ultimi due, Michele Zagaria e Antonio Iovine, si potrà dire che il duro percorso si è compiuto”.

Intercettazioni telefoniche

Resta la terribile ndrangheta calabrese, un’organizzazione complessa che gode del quasi-monopolio del traffico di cocaina in Europa e ha radicato in Germania, Canada, Australia, ma apparentemente non in Francia: “Cerca una riconquista del territorio. Lo stato sta mettendo in atto una strategia globale che permetterà di colpire la sua ala militare e le sue connessioni con il mondo degli affari. Voglio credere che otterremo presto dei buoni risultati” dice Piero Grasso.

Il procuratore, autore di un’opera dal titolo eloquente “Per non morire di mafia”, non nasconde la sua perplessità riguardo le restrizioni alle inchieste contenute nel Ddl intercettazioni. Alla fine della settimana scorsa, in Camera dei deputati, ne ha lungamente denunciato tutti i difetti qualificandolo “d’ostacolo” al lavoro delle forze dell’ordine. Parlando a Le Figaro il procuratore si è detto “fiducioso” che il testo verrà “rivisto e corretto”: “Dopo il mio intervento, il presidente della Camera Gianfranco Fini, ha affermato che bisogna modificarlo”, sottolinea Piero Grasso.

 

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