Ddl Calderoli, meno parlamentari e omaggi per B.

Berlusconia, padania leghista

Di Andrea G. Cammarata

Passa “salvo intese” al Consiglio dei ministri di oggi,  il disegno di legge costituzionale del ministro Calderoli: riforma che ha a sua volta dell'”epocale”, e che in ugual maniera a quella fumosa sulla Giustizia, mira senza ombra di dubbio a sfaldare alcuni dei cardini costituzionali oramai arrugginiti agli occhi della maggioranza.

Diminuzione dei parlamentari; istituzione del “Senato federale della Repubblica”; e dulcis in fundo -ambigua definizione per quello si paventa essere un presidenzialismo soft-: “forma di governo”. Sono questi i suadenti Tag della riforma Calderoli. La apriamo -corposo file da più di 70 Kb-, scritta in diritto leghista da colui che ha l’incarico per la semplificazione normativa. Traspare la per nulla subliminale epurazione dello spirito democratico voluto dai padri costituenti. Di lodevole c’è la diminuzione del numero dei deputati, che da 630 che sono, diverrebbero 250, e dei senatori: da 315 a 250. Si abbassa anche l’età minima per divenire senatori, da 25 anni si passerebbe a 21.

Perciò un’Italia più giovane, è quella immaginata dal ministro Calderoli, che propone anche l’abbassamento di 10 anni della soglia di anzianità per divenire Presidente della Repubblica, si passa quindi da 50 a 40 anni. Ciò che è buono nel caso anche per Angelino Alfano.

Colpisce agli occhi poi nel testo la soppressione della Circoscrizione estero, con l’abrogazione completa dell’articolo 48 della Costituzione, e quindi la scomparsa di quei seggi finora assegnati off shore. Si sostituisce per intero l’articolo 57 e il Senato della Repubblica si spoglia così del suo scarno e vecchio nome, per chiamarsi di modo più leghista: “Senato federale della Repubblica”.

Nei dettagli dell’articolo 57, troviamo il numero minimo dei senatori per Regione che non sarà più di 7, ma 5, fatta eccezione per Molise e Valle d’Aosta, cui ne restano riservati rispettivamente due e uno.

Con modifica parziale dell’articolo 59 spariscono i cinque deputati a vita eletti ad honorem dal Presidente della Repubblica, e resta immutata invece la possibilità di esserlo esclusivamente per chi ha avuto -visti i tempi che corrono- la sfiga e la fortuna di salire al Quirinale.

Docile è invece il tentativo di aggredire le indennità della Casta con la modifica del già riduttivo articolo 69, che verrebbe sostituito e si amplierebbe quindi così nella sua seconda parte: i parlamentari “ricevono un’indennità stabilità dalla legge, in misura corrispondente alla loro effettiva partecipazione ai lavori secondo le norme dei rispettivi regolamenti”.

Cambiano poi sostanzialmente i criteri per il “procedimento legislativo” e dei “tempi di discussione dei disegni di legge”, quindi le modalità con cui si attuano i pareri parlamentari sugli schemi dei decreti legislativi, nonché la Decretazione d’urgenza.

E attenzione, nel malaugurato caso che il Presidente della Repubblica si sentisse maluccio, nel Calderoli reform world a sostituirlo non sarà più il presidente del Senato, ma quello della Camera. A voi la scelta. Ma non distrarsi poi, perché il nome del presidente del Consiglio dei ministri cambierà in “Primo ministro” e avrà il potere di nominare i ministri e di revocarne l’incarico. Tutto in buona pace del Cav.

Link consigliati: Micromega online

La riforma Calderoli? Uno specchietto per le allodole . Di Michele Ainis, dal Corriere della Sera

http://temi.repubblica.it/micromega-online/come-tagliare-le-spese-della-casta-in-fretta-e-senza-grandi-disegni/

Amministrative: Bologna teme la Lega.

padania leghista

Di Andrea G. Cammarata

Le amministrative di Bologna del 15 e 16 maggio prevedono un’avanzata barbara verso Sud della Lega Nord. Il dopo Delbono (PD), ex sindaco dimissionario coinvolto nel Cinzia Gate, caso poi sfociato nella commissariamento della città, apre la strada al fazzoletto verde di Manes Bernardini. Giovane e avvocato, dopo una battaglia vinta con il Pdl per l’attribuzione della candidatura, è il primo candidato sindaco del Carroccio nel capoluogo emiliano.

Si teme l’effetto sorpresa allucinatorio che potrebbe trasformare la storica rossa Bologna in un avamposto padano. La lega ha scalato le cime dell’Appennino a grandi balzi: a Bologna nel 2009 aveva appena lo 0,6 per cento e un anno dopo, per le regionali, ha sfoggiato con stupore generale il suo lusinghiero 9 per cento di consensi elettorali. I sondaggi Swg e le voci di palazzo D’Accursio già parlano di ballottaggio con Virginio Merola, candidato del Partito Democratico e Italia dei Valori, il cui nome -si mormora in piazza Grande- sembra sia stato imposto dal PD in sostituzione del super acclamato Maurizio Cevenini (stando al vero colpito da un’ischemia).

Vittorio Merola, in tempi non sospetti ripudiò per alcuni aspetti di merito la candidatura di Delbono presentandosi alle primarie. Merola è uno dei fondatori del Partito Democratico,  sfoggia un curriculum di tutto rispetto, una laurea in filosofia, sposato, appassionato di politica fin dai tempi della sua attività sindacale come delegato nella Cgil.

Fra i “piccoli” di rilievo in corsa alle amministrative restano il civico Stefano Aldrovandi, appogiato dal Terzo Polo, e Massimo Brugnani in forza al Movimento 5 Stelle. Per una visione d’insieme,  alla gara delle amministrative in totale 10 sono i candidati sindaci, 19 le liste e 36 le poltrone del Consiglio Comunale.

Avranno il loro da fare a non fare orecchio da mercante: l’operazione “Golden Jail” della squadra mobile di Bologna, ha recentemente rivelato un giro di ‘ndrangheta e imprenditori-prestanome con la esse bolognese, impegnati a riciclare proventi occulti nel mercato immobiliare e societario del capoluogo. L’opposizione? Merola e compagnia per salvare Bologna dall’avanzata del Carroccio, farebbero bene a presentarsi alle cerimonie di rito, dopo aver snobbato, chi per un motivo chi per un altro, l’anniversario del 21 aprile della Liberazione di Bologna dal Nazifascismo, cui invece ha presenziato solo soletto Manes Bernardini. Avvocato che ha reso in questi giorni alla Stampa un’immagine smussata di se stesso, tanto da essere definito “il leghista dal volto umano”: al cospetto della diffusa ferocia padana, almeno lui non nasconde dietro un lenzuolo la moglie pugliese.

Pubblicato Altroquotidiano.it

La Lega stoppa la bozza Alfano: processo breve bloccato

Berlusconia

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di Andrea G. Cammarata

Il Processo breve non val bene l’impunità, per domani nessuna calendarizzzione alla Camera. Congelato. Così il ministro Alfano precisa “non voglio che diventi in questo momento un elemento di rottura mentre stiamo lavorando alla riforma costituzionale”. Perciò il primo tassello della “grande grande, grande” riforma della giustizia ad personam salta, ancora. Era l’unica cosa che anche gli ultimi irriducibili berlusconiani chiedevano al Cav. “faccia le riforme, le faccia male, ma le faccia”. Non passa, pur considerato l’assenso dell’Umberto, che ieri si era pronunciato positivamente sul processo breve ma non sull’immunità parlamentare: niente, nulla di nulla. E Berlusconi oggi medita, sempre se ha tempo, sui nuovi segnali di tuono del Quirinale: come quelli sull’ “incostituzionalità” viziosa di cui si bagna anche il decreto “Milleproroghe”. Tuttavia della persuasiva morale del Presidente della Repubblica, B. sembra infischiarsene, nonostante i suoi “capisco” e “comprendo” pronunciati ieri dal Colle. SIlvio, udite udite, si vociferà nel Pdl, pensa a salvarsi dal processo Mills per corruzione, con un cavillo nel venturo ddl anti-corruzione. L’azzeccagarbugli di nuova generazione gli sta preparando una prescrizione ridotta e retroattiva; si parla di dimezzare i tempi per gli incensurati o ridurli se a commettere il reato di corruzione è un cittadino privato anziché un pubblico ufficiale. La legge è sempre uguale per tutti.

Vale l’opionione di chi ritiene che le saette di Napolitano illuminino, più che il “Milleproroghe”, proprio il cammino intrapreso dal Premier sulla riforma della giustizia “costituzionale”. Selciato per zoppi e malformati. Non piacciono in ambiente giuridico: il doppio Csm, la separazione delle carriere della magistratura, quella corte “marziale” per le toghe che sbagliano, i maggior poteri all’Alfano di turno e apppunto la prescrizione breve. E’ quel parto mostruoso, da scenario post-nucleare, che Berlusconi, “resistente” videomessaggista on-line della domenica, tanto reclama.  Ora i nodi vengono al pettine: la bozza Alfano, è cosa massonica, degna della P2 di Gelli. Ma avendo fortuna i leghisti Maroni, Calderoli, Castelli, potrebbero essere sulla buona strada per salvare il popolo dalle ire del pelide Silvio, come già fece Fini all’indomani dei probi viri. “Misure così impopolari” al referendum confermativo non passano, sostengono dal Carroccio, e stendono un velo ulteriore sulla bozza Alfano, in particolare riguardo la sottoposizione dei Pm all’esecutivo e sulla presidenza del Guardasigilli al secondo ipotizzato Csm dei Pm, cosa che di fatto sminuirebbe i poteri del capo dello Stato, che attualmente presiede il Csm, quello vero.

Pubblicato su Dazebaonews

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