Ddl Calderoli, meno parlamentari e omaggi per B.

Berlusconia, padania leghista

Di Andrea G. Cammarata

Passa “salvo intese” al Consiglio dei ministri di oggi,  il disegno di legge costituzionale del ministro Calderoli: riforma che ha a sua volta dell'”epocale”, e che in ugual maniera a quella fumosa sulla Giustizia, mira senza ombra di dubbio a sfaldare alcuni dei cardini costituzionali oramai arrugginiti agli occhi della maggioranza.

Diminuzione dei parlamentari; istituzione del “Senato federale della Repubblica”; e dulcis in fundo -ambigua definizione per quello si paventa essere un presidenzialismo soft-: “forma di governo”. Sono questi i suadenti Tag della riforma Calderoli. La apriamo -corposo file da più di 70 Kb-, scritta in diritto leghista da colui che ha l’incarico per la semplificazione normativa. Traspare la per nulla subliminale epurazione dello spirito democratico voluto dai padri costituenti. Di lodevole c’è la diminuzione del numero dei deputati, che da 630 che sono, diverrebbero 250, e dei senatori: da 315 a 250. Si abbassa anche l’età minima per divenire senatori, da 25 anni si passerebbe a 21.

Perciò un’Italia più giovane, è quella immaginata dal ministro Calderoli, che propone anche l’abbassamento di 10 anni della soglia di anzianità per divenire Presidente della Repubblica, si passa quindi da 50 a 40 anni. Ciò che è buono nel caso anche per Angelino Alfano.

Colpisce agli occhi poi nel testo la soppressione della Circoscrizione estero, con l’abrogazione completa dell’articolo 48 della Costituzione, e quindi la scomparsa di quei seggi finora assegnati off shore. Si sostituisce per intero l’articolo 57 e il Senato della Repubblica si spoglia così del suo scarno e vecchio nome, per chiamarsi di modo più leghista: “Senato federale della Repubblica”.

Nei dettagli dell’articolo 57, troviamo il numero minimo dei senatori per Regione che non sarà più di 7, ma 5, fatta eccezione per Molise e Valle d’Aosta, cui ne restano riservati rispettivamente due e uno.

Con modifica parziale dell’articolo 59 spariscono i cinque deputati a vita eletti ad honorem dal Presidente della Repubblica, e resta immutata invece la possibilità di esserlo esclusivamente per chi ha avuto -visti i tempi che corrono- la sfiga e la fortuna di salire al Quirinale.

Docile è invece il tentativo di aggredire le indennità della Casta con la modifica del già riduttivo articolo 69, che verrebbe sostituito e si amplierebbe quindi così nella sua seconda parte: i parlamentari “ricevono un’indennità stabilità dalla legge, in misura corrispondente alla loro effettiva partecipazione ai lavori secondo le norme dei rispettivi regolamenti”.

Cambiano poi sostanzialmente i criteri per il “procedimento legislativo” e dei “tempi di discussione dei disegni di legge”, quindi le modalità con cui si attuano i pareri parlamentari sugli schemi dei decreti legislativi, nonché la Decretazione d’urgenza.

E attenzione, nel malaugurato caso che il Presidente della Repubblica si sentisse maluccio, nel Calderoli reform world a sostituirlo non sarà più il presidente del Senato, ma quello della Camera. A voi la scelta. Ma non distrarsi poi, perché il nome del presidente del Consiglio dei ministri cambierà in “Primo ministro” e avrà il potere di nominare i ministri e di revocarne l’incarico. Tutto in buona pace del Cav.

Link consigliati: Micromega online

La riforma Calderoli? Uno specchietto per le allodole . Di Michele Ainis, dal Corriere della Sera

http://temi.repubblica.it/micromega-online/come-tagliare-le-spese-della-casta-in-fretta-e-senza-grandi-disegni/

Riforma Calderoli, più Berlusconi per tutti e meno parlamentari. Il testo

Berlusconia

La bozza del disegno di legge costituzionale del ministro Calderoli: senatori a 21 anni -è buono per il Trota- Presidente della Repubblica a 40 anziché 50 anni. “Primo Ministro” e non “Presidente del Consiglio”, il regalo di Calderoli per B. E i leghisti si aggiudicano invece il “Senato federale della Repubblica”.

 

IL TESTO:

 

SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE RECANTE DISPOSIZIONI CONCERNENTI LA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI, L’ISTITUZIONE DEL SENATO FEDERALE DELLA REPUBBLICA E LA FORMA DI GOVERNO.

ART. 1

(Soppressione della circoscrizione estero)

1. All’articolo 48 della Costituzione, il terzo comma è abrogato.

ART. 2

(Senato federale della Repubblica)

1. Al primo comma dell’articolo 55 della Costituzione, le parole: «Senato della Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «Senato federale della Repubblica».

ART. 3

(Numero dei deputati)

1. Il secondo comma dell’articolo 56 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Il numero dei deputati è di duecentocinquanta.».

2. Al terzo comma dell’articolo 56 della Costituzione, la parola: «venticinque» è sostituita dalla seguente: «ventuno».

3. Al quarto comma dell’articolo 56 della Costituzione, le parole: «, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero», sono soppresse e la parola: «seicentodiciotto» è sostituita dalla seguente: «duecentocinquanta».

ART. 4

(Composizione del Senato federale della Repubblica)

1. L’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 57

Il Senato federale della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto su base regionale.

Il Senato federale della Repubblica è composto da duecentocinquanta senatori. I senatori sono eletti in ciascuna Regione contestualmente all’elezione del rispettivo Consiglio regionale o Assemblea regionale e, per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, dei Consigli delle Province autonome.

L’elezione del Senato federale della Repubblica è disciplinata con legge dello Stato, che garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori.

Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a cinque; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste uno.

La ripartizione dei seggi tra le Regioni, previa applicazione delle disposizioni del quarto comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Partecipano all’attività del Senato federale della Repubblica, senza diritto di voto, secondo le modalità previste dal suo regolamento, altri rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali. A tal fine, all’inizio di ogni legislatura regionale ciascun Consiglio o Assemblea regionale elegge un rappresentante tra i propri componenti e ciascun Consiglio delle autonomie locali elegge un rappresentante tra i sindaci e i presidenti di Provincia o di Città metropolitana della Regione. Per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol i Consigli delle Province autonome e i rispettivi Consigli delle autonomie locali eleggono ciascuno un proprio rappresentante.».

ART. 5

(Requisiti per l’elezione al Senato federale della Repubblica)

1. L’articolo 58 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 58:

Sono eleggibili a senatori di una Regione gli elettori che hanno compiuto i ventuno anni di età e risiedano nella Regione alla data di indizione delle elezioni.».

ART. 6

(Deputati di diritto e a vita)

1. L’articolo 59 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 59:

E’ deputato di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.».

ART. 7

(Durata della legislatura)

1. L’articolo 60 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 60

La Camera dei deputati è eletta per cinque anni.

I senatori eletti in ciascuna Regione e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano rimangono in carica fino alla data della proclamazione dei nuovi senatori della medesima Regione o Provincia autonoma.

1. La durata della Camera dei deputati, di ciascun Consiglio o Assemblea regionale e dei Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano non può essere prorogata se non per legge dello Stato e soltanto in caso di guerra. Con la proroga di ciascun Consiglio o Assemblea regionale o dei Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano è prorogato anche il mandato dei senatori in carica.».

ART. 8

(Elezioni della nuova Camera)

1. L’articolo 61 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 61

Le elezioni della nuova Camera dei deputati hanno luogo entro settanta giorni dalla fine della Camera precedente. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni.

Finché non sia riunita la nuova Camera dei deputati sono prorogati i poteri della precedente».

ART. 9

(Elezioni dei Presidenti delle  Camere e dell’ Ufficio di Presidenza del Senato federale della Repubblica)

1. All’articolo 63, primo comma, della Costituzione, è aggiunto in fine il seguente periodo: «Il regolamento del Senato federale della Repubblica disciplina le modalità di rinnovo dell’Ufficio di Presidenza.».

2. All’articolo 63 della Costituzione, dopo il primo comma è inserito il seguente: «I Presidenti delle Camere sono eletti a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna di esse.».

ART. 10

(Poteri del Governo in Parlamento e garanzie per le opposizioni)

1. All’articolo 64 della Costituzione, il quarto comma è sostituito dai seguenti:

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono. I regolamenti parlamentari stabiliscono i casi nei quali il Governo deve essere comunque rappresentato dal Primo Ministro o dal Ministro competente.

Il regolamento della Camera dei deputati garantisce le prerogative ed i poteri del Governo e della maggioranza ed i diritti delle opposizioni e delle minoranze in ogni fase dell’attività parlamentare. Individua le Commissioni, diverse da quelle di cui all’articolo 72, primo comma, le Giunte e gli organismi interni, cui sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo o di garanzia, la cui Presidenza è riservata a deputati appartenenti a gruppi di opposizione.».

ART. 11

(Indennità parlamentare)

1. L’articolo 69 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 69:

I componenti della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica hanno il dovere di partecipare ai lavori dell’Assemblea e delle Commissioni. Ricevono un’indennità stabilita dalla legge, in misura corrispondente alla loro effettiva partecipazione ai lavori secondo le norme dei rispettivi regolamenti.».

ART. 12

(Procedimento legislativo)

1. L’articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 70

La funzione legislativa dello Stato è esercitata collettivamente dalla Camera dei deputati e dal Senato federale della Repubblica nei seguenti casi.

a) disegni di legge di revisione della Costituzione e altri disegni di legge costituzionale;

b) disegni di legge concernenti l’esercizio della competenza legislativa dello Stato di cui all’articolo 116, terzo comma.

La Camera dei deputati è competente per i disegni di legge concernenti l’esercizio delle competenze legislative dello Stato di cui agli articoli 117, secondo comma, ad eccezione di quelli concernenti la perequazione delle risorse finanziarie, e 119, quinto comma. La Camera dei deputati è altresì competente in ogni caso in cui la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato o della Repubblica, fatto salvo quanto previsto dal primo e dal terzo comma.

Il Senato federale della Repubblica è competente per i disegni di legge concernenti l’esercizio delle competenze legislative dello Stato di cui agli articoli 57, terzo comma, 117, commi secondo, lettera e), limitatamente alla perequazione delle risorse finanziarie, terzo, quinto e nono.

Dopo l’approvazione da parte della Camera competente ai sensi del secondo o terzo comma, i disegni di legge sono esaminati dall’altra Camera che può esprimere, entro trenta giorni, il proprio parere. La Camera competente decide in via definitiva e può deliberare, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, di non recepire il parere. Qualora non sia espresso alcun parere entro il termine previsto, la legge può essere promulgata.

I termini per l’espressione del parere di cui al comma quarto del presente articolo sono ridotti della metà per i disegni di legge di conversione dei decreti emanati ai sensi dell’articolo 77.

I Presidenti del Senato federale della Repubblica e della Camera dei deputati, d’intesa tra di loro, decidono le eventuali questioni di competenza tra le due Camere, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti, in ordine all’esercizio della funzione legislativa. La decisione dei Presidenti non è sindacabile in alcuna sede.».

ART. 13

(Tempi di discussione dei disegni di legge)

1. All’articolo 72 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«I disegni di legge sono discussi e votati dalle Camere entro termini certi, secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Su richiesta del Governo, il termine per la conclusione dell’esame da parte di ciascuna Camera dei disegni di legge presentati o fatti propri dal Governo stesso e di quelli dei quali è dichiarata l’urgenza non può in ogni caso essere superiore a trenta giorni. Il regolamento della Camera dei deputati prevede le garanzie, le modalità e i limiti per l’iscrizione all’ordine del giorno di proposte e iniziative indicate dalle opposizioni, con riserva di tempi e previsione del voto finale.».

ART. 14

(Dichiarazione d’urgenza)

1. Il secondo comma dell’articolo 73 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Se la Camera competente o, per i disegni di legge previsti dal primo comma dell’articolo 70, entrambe le Camere, ne dichiarano l’urgenza a maggioranza assoluta dei componenti, la legge è promulgata nel termine da esse stabilito.».

ART. 15

(Rinvio presidenziale delle leggi)

1. All’articolo 74 della Costituzione, il secondo comma è sostituito dal seguente:

«Se le Camere approvano nuovamente la legge, secondo il procedimento di cui all’articolo 70, questa deve essere promulgata.».

ART. 16

(Parere parlamentare su schemi di decreti legislativi)

1. All’articolo 76 della Costituzione è aggiunto in fine il seguente comma:

«Gli schemi dei decreti legislativi, predisposti dal Governo, sono sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti».

ART. 17

(Decretazione d’urgenza)

1. All’articolo 77, secondo comma, della Costituzione le parole: «alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.», sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera competente ai sensi dell’articolo 70 della Costituzione che è convocata e si riunisce entro cinque giorni. Nel caso in cui la Camera dei deputati sia sciolta, essa è appositamente convocata e si riunisce entro cinque giorni.».

2. All’articolo 77 della Costituzione è aggiunto in fine il seguente comma:

«Il Governo non può, mediante decreto, rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in legge, ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, conferire deleghe legislative, attribuire poteri regolamentari in materie già disciplinate con legge. ».

ART. 18

(Modificazioni degli articoli 78, 80 e 81 della Costituzione)

1. Al primo comma dell’articolo 79 della Costituzione, le parole: «di ciascuna Camera» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati».

2. All’articolo 80 della Costituzione, le parole: «Le Camere autorizzano» sono sostituite dalle seguenti: «È autorizzata».

3. All’articolo 81 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente:

«Sono approvati ogni anno con legge i bilanci e il rendiconto consuntivo dello Stato presentati dal Governo».

ART. 19

(Eleggibilità alla carica di Presidente della Repubblica)

1. Al primo comma dell’articolo 84 della Costituzione, le parole: «cinquant’anni» sono sostituite dalle seguenti: «quarant’anni».

ART. 20

(Modifica all’articolo 85 della Costituzione)

1. Il comma terzo dell’articolo 85 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Se la Camera dei deputati è sciolta, o manca meno di tre mesi alla cessazione della Camera dei deputati, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione della nuova Camera dei deputati. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.».

ART. 21

(Supplenza del Presidente della Repubblica)

1. L’articolo 86 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 86

Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente della Camera dei deputati.

In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se la Camera è sciolta o manca meno di tre mesi alla sua cessazione.».

ART. 22

(Attribuzioni del Presidente della Repubblica)

1. All’articolo 87, terzo comma, della Costituzione, le parole: «delle nuove Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati».

ART. 23

(Scioglimento della Camera dei deputati)

1. L’articolo 88 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 88:

Il Presidente della Repubblica può sciogliere la Camera dei deputati, sentiti il suo Presidente e i rappresentanti dei gruppi parlamentari, anche su richiesta del Primo Ministro.».

ART. 24

(Modifiche all’articolo 89, secondo comma, della Costituzione)

1. All’articolo 89, secondo comma, della Costituzione le parole: «dal Presidente del Consiglio dei Ministri», sono sostituite dalle seguenti: «dal Primo Ministro».

ART. 25

(Il Governo)

1. L’articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 92

Il Governo della Repubblica è composto dal Primo Ministro e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. E’ composto altresì dai sottosegretari di Stato e dai Viceministri.

Il Presidente della Repubblica nomina e revoca il Primo Ministro. Il Primo Ministro è nominato sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati.

La legge disciplina l’elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza.».

2. L’articolo 93 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 93:

Il Primo Ministro e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.».

ART. 26

(Il rapporto di fiducia tra il Parlamento ed il Governo)

1. L’articolo 94 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 94

Il Governo deve avere la fiducia della Camera dei deputati.

La Camera dei deputati accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.

Entro dieci giorni dal giuramento dei ministri, il Governo si presenta alla Camera per ottenerne la fiducia. In tale sede, il Primo Ministro impegna davanti alla Camera dei deputati la responsabilità del Governo su un determinato programma.

Il voto contrario della Camera dei deputati su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.

La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera dei deputati e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Essa è approvata a maggioranza assoluta dei componenti della Camera dei deputati.

Il Primo Ministro può porre la questione di fiducia alla Camera dei deputati sull’approvazione o reiezione di un provvedimento, di emendamenti o articoli di disegni di legge o su atti di indirizzo al suo esame.

Se la richiesta di fiducia è respinta o la mozione di sfiducia approvata, entro sette giorni il Primo Ministro presenta al Presidente della Repubblica le dimissioni. Il Presidente della Repubblica, sulla base dei risultati delle elezioni, nomina un nuovo Primo Ministro ovvero scioglie la Camera dei deputati.

Qualora sia presentata e approvata una mozione di sfiducia con la designazione di un nuovo Primo Ministro, da parte della Camera dei deputati a maggioranza assoluta dei propri componenti che sia conforme ai risultati delle elezioni, il Primo Ministro si dimette e il Presidente della Repubblica nomina il nuovo Primo Ministro designato dalla mozione. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione e deve essere votata per appello nominale.».

ART. 27

(Poteri del Primo Ministro e dei Ministri)

1. L’articolo 95 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 95

Il Primo Ministro è responsabile della politica generale del Governo. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri. Nomina e revoca i ministri. Nomina e revoca i Sottosegretari di Stato ed i Viceministri, che prestano giuramento nelle sue mani prima di assumere le funzioni.

I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri.

La legge provvede all’ordinamento dell’ufficio del Primo Ministro e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri.».

ART. 28

(Reati ministeriali)

1. L’articolo 96 della Costituzione è sostituito dal seguente:

”      ART. 96:

Il Primo Ministro ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato federale della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale.».

ART. 29

(Competenze legislative dello Stato)

1. All’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera s) sono aggiunte, in fine, le seguenti:

« s-bis)  grandi reti di trasporto e di navigazione;

s-ter)  ordinamento della comunicazione;

s-quater)  produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. ».

2. All’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, le parole: «grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» sono soppresse.

ART. 30

(Numero e indennità dei consiglieri regionali)

1. Al primo comma dell’articolo 122 della Costituzione, sono aggiunte in fine le seguenti parole: «La medesima legge determina il limite massimo della indennità dei consiglieri regionali e il loro numero in proporzione alla popolazione della Regione.».

ART. 31

(Modifiche alla legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1)

1. All’articolo 5, comma 1, primo periodo, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n.1, le parole: «Senato della Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «Senato federale della Repubblica».

2. All’articolo 5, comma 1, secondo periodo, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n.1,  le parole: «al Senato della Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati».

3. All’articolo 10 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n.1,  le parole: «Senato della Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «Senato federale della Repubblica».

ART. 32

(Adeguamento delle Regioni a Statuto speciale)

1. Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti di autonomia, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

ART. 33

(Norme transitorie)

1. Le disposizioni dei regolamenti parlamentari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle modificazioni conseguenti alla medesima legge.

2. In sede di prima applicazione, la prima riunione del Senato federale della Repubblica ha luogo nello stesso giorno in cui il Presidente della Repubblica fissa, ai sensi dell’articolo 61 della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale, la riunione della Camera dei deputati successiva alle prime elezioni indette dopo la data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. A tale fine, fra il ventesimo ed il decimo giorno precedente alla prima riunione del Senato federale della Repubblica, ciascun Consiglio regionale o Assemblea regionale e ciascun Consiglio delle Province autonome di Trento e di Bolzano elegge i senatori spettanti a ciascuna Regione o Provincia autonoma, scelti fra i cittadini che abbiano i requisiti di cui all’articolo 58 della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale, con voto limitato ai due terzi dei senatori da eleggere, con arrotondamento aritmetico. I consiglieri regionali della Valle d’Aosta e del Molise eleggono i senatori esprimendo un solo voto. Entro il medesimo termine, i Consigli regionali e le Assemblee regionali ed i Consigli delle autonomie locali eleggono altresì i rappresentanti di cui all’articolo 57, sesto comma, come modificato dalla presente legge costituzionale.

3. I senatori ed i rappresentanti, eletti ai sensi del comma 2, restano in carica fino al primo rinnovo successivo del Consiglio regionale che li ha eletti. Le nuove elezioni dei membri hanno luogo secondo le disposizioni della legge elettorale di cui all’articolo 57, terzo comma. In mancanza della predetta legge e fino alla sua entrata in vigore, si continua ad applicare la disciplina di cui al comma 2 del presente articolo.

4. Fino all’adeguamento della legislazione elettorale alle disposizioni della presente legge costituzionale, per le elezioni della Camera dei deputati continua ad essere applicata la normativa elettorale vigente alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. A tal fine, alla coalizione di liste o alla singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi ai sensi della citata normativa ma non abbia già conseguito almeno centotrentasette seggi viene ulteriormente attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale consistenza e i restanti centododici sono ripartiti proporzionalmente tra le altre coalizioni di liste e liste.

5. I senatori a vita ai sensi dell’articolo 59 della Costituzione, nel testo vigente alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, permangono in carica presso il Senato federale della Repubblica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Comuni a rischio e dal Tesoro ancora nessuna risposta.

Berlusconia

Il Tesoro aveva promesso le entrate per i Comuni entro giugno, adesso i sindaci non sanno come pagare gli stipendi.

Di Andrea G. Cammarata

Non è seguita ancora alcuna risposta alla lettera indirizzata dall’Anci -destinatari Roberto Maroni e Giulio Tremonti – il 22 giugno scorso. Oggetto della missiva, di cui il Tesoro fa tutt’ora orecchio da mercante, è chiaro: “Erogazione pagamenti entrate comunali”. L’associazione dei comuni e i sindaci restano quindi in allarme rosso per il mancato rispetto del ’recente’ accordo con il Governo, in sede di Conferenza Stato città e autonomie locali, sottoscritto il 31 maggio, in materia di “soppressione dei trasferimenti erariali e corrispondente attribuzione di entrate proprie”.

L’accordo prevedeva, in ottemperanza al decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, “serrati tempi di erogazione delle somme per ciascun comune”, in virtù anche della pesante mannaia dei tagli lasciata cadere sui piccoli Comuni con i dispositivi anticrisi di Tremonti. L’Anci chiedeva l’emanazione di un decreto urgente -entro il 30 giugno- che autorizzasse “il pagamento delle spettanze”. Ma la tregua del Tesoro sta durando parecchio, e all’Anci rispondono che “no, ancora non ci è pervenuta alcuna risposta”. C’è quindi tensione nei Comuni, dove l’ironica domanda risuona sovente: “perché mai ci chiamano sindaci-manager?”. In effetti, stando alla situazione attuale, da ’ménager’ ai sindaci non è restato che la tavola della propria cucina, visto che i soldi in molti casi non ci sono.

Comuni più virtuosi, che avevano fondi disponibili, sono fin’ora riusciti a parare il colpo: quindi rate dei mutui e stipendi. Ma dove non c’è cassa i ragionieri dei sindaci faranno i conti con l’oste, e intanto rimandano i pagamenti, o s’inventano stratagemmi aumentando multe e raschiando, possibilmente sulla pelle dei cittadini, con micro-manovre d’urgenza, che in alcuni casi permettono loro di pagare gli stipendi. Cavilli e codicilli. Graziano Delrio, vicepresidente finanza locale per l’Anci, in una telefonata ieri ha fatto notare che “forse a qualcuno sfugge la gravità della situazione. E’ una cosa molto grave, perchè questi soldi dovevano essere trasferiti ai Comuni entro la fine di giugno, e si doveva inserire nella manovra un codice che avrebbe consentito alla Ragioneria di procedere. ”

Ha poi aggiunto: “Eravamo d’accordo con i ministri Tremonti, Maroni e Calderoli, che il codice sarebbe stato inserito, poi per motivi inspiegabili questa cosa non è stata fatta”. Quindi ’fisicamente’ non ci sono i soldi dovuti per le casse dei Comuni e restano buone possibilità che non arrivino “neanche in luglio“, continua Graziano Delrio. “Situazione paradossale in cui rischiano di saltare le ferie, gli stipendi, i contratti, che sono in essere per diverse città italiane, almeno per quelle che non hanno disponibilità di cassa”. In sostanza i “sindaci manager” ci stanno mettendo la faccia e non possono onorare gli impegni presi, e, nota dolente, di certo non possono accendere mutui per pagare gli impegni presi. Il ’codicillo’ tanto atteso riuscirebbe invece a dare copertura “legislativa” ai pagamenti che il Governo sta omettendo, spiegano all’Anci, ma in causa ci vanno i problemi classici di lentezza burocratica e i soliti di non-operatività di cui, come commentano in molti, in diverse occasioni il Governo ha dato prova lampante.

Il sindaco di San Leo (Rn), Mauro Guerra, giunto al secondo anno di mandato, per il suo Comune deve avere dal Governo circa 200mila euro, e fra le centinaia di casi simili in Italia è solo un esempio dell’effetto a catena che una mancanza governativa può scatenare. “Manager sì” -dicono i sindaci- “ma non possiamo stampare i soldi, abbiamo bisogno di alimentazione”. E qui ci casca l’asino, con in groppa la mancanza del trasferimento erariale.

A disposizione dei sindaci restano solo sanatorie e multe, ma quella dei trasferimenti, la parte più corposa per la sussistenza degli enti locali, che avviene a scadenze fisse, il 30 giugno non è arrivata. Per quella data molti sindaci avevano concordato ad esempio il pagamento della rata dei mutui. E cosa hanno potuto fare i Comuni? Lo spiega Mauro Guerra:“rate molto importanti dei nostri mutui sono in scadenza al 30 dicembre e al 30 giugno, se in queste date ci svuotiamo abbiamo bisogno che poi entri qualcosa, è sempre entrato, ma stavolta no e ci siamo trovati in difficoltà”. Il Sindaco di San Leo ha perciò pagato i mutui, ma solo perché il ragioniere del Municipio è stato bravo lasciando indietro “altre cose”, prediligendo per cui i debiti con le banche. E gli altri?

Al 7 luglio il Dipartimento per gli affari interni e Territoriali scrive per i sindaci. Corpo della lettera: “Al riguardo si segnala che dette attribuzioni -trasferimenti erariali- saranno bloccate, fino all’avvenuto adempimento, per gli enti che, al momento del pagamento, risulteranno non aver trasmesso alla SOSE il questionario funzionale a raccogliere i dati contabili e strutturali di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto…” Tradotto spunta la scusa governativa che alcuni comuni non sarebbero in regola con il compitino del questionario del caso. Niente da fare.

Ma non disperate, corre voce fra onorevoli e interessati che entro 20-30 giorni ogni cosa sarà risolta. Intanto però i creditori dei Comuni sparsi in tutta Italia languono a bocca asciutta. E poi, commentano autorevoli economisti, “si discute tanto di tagliare le Provincie, ma i Comuni quelli no?” Per Carità.

“Pubblicato Mercoledì 13  luglio 2011 in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione”

Una mano santa salva Don Verzè

Berlusconia

Don Verzè con la sua fondazione Monte Tabor deve affrontare un buco da quasi un miliardo di euro, ma con lui inciuciano tutti: sinistra, Governo e Vaticano. Per non parlare dei conflitti d’interessi con il San Raffaele, all’apparenza superati ma sempre sospettosi, del ministro della Sanità Fazio e di Fininvest/B.

Di Andrea G. Cammarata

C’è puzza d’incenso. A indorare il tracollo finanziario da più di 800 milioni di euro dietro al San Raffaele di Milano di Don Verzè, ci sarebbe anche il Vaticano e la mano del suo Segretario di Stato Tarcisio Bertone, che ha piazzato quattro suoi uomini, fra cui il Presidente dello IorEttore Gotti, nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione Monte Tabor, e preme per averne nell’Istituto Toniolo, attualmente presieduto dal vescovo uscente di Milano, Dionigi Tettamanzi.

Gli organismi sono i due bracci finanziari che controllano rispettivamente il San Raffaele l’uno, e il Gemelli e il Bambin Gesù l’altro. Poi ci vanno gli intrecci storici di don Verzè con gli affari del Premier Silvio Berlusconi e quello che si andrebbe paventando come un nuovo conflitto d’interessi. Ma batte cassa anche la sinistra radicale. Si parla di un polo sanitario vaticanista nel milanese, che andrebbe ad annettere il policlinico Gemelli dell’Università Cattolica e l’altro nosocomio Bambin Gesù alla creatura sanitaria privata del prete-manager, il San Raffaele.

L’appendice. Don Verzè è approdato nelle Puglie con il progetto ospedaliero del San Raffaele del Mediterraneo e rispettiva fondazione omonima, nonché estensione della MonteTabor. Nichi Vendola, Governatore della Puglia, sovvenziona l’opera con 120 milioni di euro, senza gara d’appalto, e senza l’ospedale, visto che manca ancora la prima pietra.

Come rilevato da ‘L’Indro’, oltre il 23% delle azioni MolMed Spa sono di Fininvest, rappresentate nel Cda da Luigi Berlusconi, figlio del Cavaliere. Berlusconi con la MolMed vorrebbe “sconfiggere il Cancro“, prometteva insieme a don Verzè. Ci prova dal San Raffaele dove è posta la sede di questa società biomedica di ricerca e terapia antitumorale.

Anche Ferruccio FazioMinistro della Sanità, è stato, fino al 2008, Primario di Medicina nucleare e Radioterapia presso l’istituto scientifico universitario San Raffaele. E Don Verzè? Solo un “anziano signore“, “Unto del Signore“? Alla veneranda età di 91 anni tornerà in Tribunale per un concordato anti-crac per la Fondazione del suo ospedale, stando ai 460 milioni di crediti che i suoi fornitori gli avanzano da due anni. E si ricomporrà il nuovo Cda della Fondazione Monte Tabor, con due dei quattro membri imposti dal Vaticano che vanno a costituire la maggioranza nei 7 previsti.

Don Verzè trova al suo fianco Gotti, presidente dello Ior, banca in black list dello Stato pontificio. Ma trova anche Giuseppe Profiti, come segnala ’Il Fatto’, già condannato in appello per turbativa d’asta.

Venendo alle memorie, Silvio Berlusconi e don Luigi Maria Verzè si conobbero ai tempi in cui il primo era ancora palazzinaro nella sua impresa Edilnord. Erano i giorni gloriosi di Milano 2. Nella stessa zona Verzè acquistava l’area dove sarebbe sorto il San Raffaele. Don Verzè e Silvio insieme riuscirono a cambiare la rotta degli aerei, il cui frastuono in volo su Milano2 avrebbe molestato pazienti e clienti dei due imprenditori. Poi, negli anni a venire,Verzè viene condannato per tentata corruzione. Di mezzo ci andavano l’Università di Milano e la concessione di contributi per due miliardi di lire della Regione Lombardia. Ancora Magistratura che indaga: e spunta una “istigazione alla corruzione“, e le accuse di truffa con le solite prescrizioni che conseguono. Viene fuori addirittura l’accusa di ricettazione di due quadretti del ’500 napoletano, condanna in appello, difesa, ma non l’assoluzione con formula piena in terzo grado: “Don Verzè era al corrente della provenienza illecita dei quadri“.

Poi le pressioni politiche per la cessione del suo San Raffaele romano ai fratelli Angelucci, già proprietari del quotidiano ’Libero’.

Confessioni. E’ la volta del Verzè 007, al centro di un inchiesta che vedeva l’agente del SISMI Nicolò Pollari come informatore del prete-manager.
Ma l’ascesa di Verzé sarà implacabile, un successo imprenditoriale che gli metterà sotto il sedere un bel jet Challenger e società, alberghi e piantagioni in ogni dove del mondo. Adesso deve far spuntare quasi un miliardo di euro.

“Pubblicato Venerdì 8  luglio 2011 in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione”

Convegno “Dove va l’Italia”, dalla classe politica niente contro la crisi.

Berlusconia

Di Andrea G. Cammarata

Rampolli bresciani bevono mojito dentro un secchiello da spiaggia, musica tunz-tunz, uno di loro urla “brindiamo al cinese con gli occhi a mandorla, devo chiudere per 10mila euro”, l’altro “extracomunitario vai via”. Happy hour, Perla dell’Adriatico, Riccione. Poco distante Alfano, ministro della Giustizia, Raffaele Bonanni, segretario Cisl, e senatori vari disquisiscono invece su come non fare niente contro la crisi. Convegno: “Dove va l’Italia”, svariati gli ospiti in platea, un centinaio fra consiglieri, assessori, presidenti di provincia. E ringraziamenti per non essersi recati al mare in luogo di esserci, in questa calda giornata di prima estate. Quindi lavori aperti. Bonanni, retorica sindacalista imbalsamata, povertà lessicale suadente, facendosela tirare con le pinze cerca di far intendere qualcosa ai cronisti delle più note e conflittuose agenzie di stampa italiane. Riferisce dell’incontro con Tremonti e della “grande” manifestazione di sabato, cui il ministro avrebbe voluto presenziare, ma che non era benvenuto: “i poltici da noi non devono venire”.

Determinazione sulla riforma fiscale, il sindacalista ne chiede una che sia “integrale, non parziale”, con aliquote meno “pesanti”. Tremonti gli ha fatto orecchio da mercante. Poi le volontà: “vogliamo i pesi nostri più distribuiti sugli altri, perchè noi paghiamo le tasse”, e in più c’è la necessità di ricorrere all’iva, quindi “aggravare l’iva sui beni di lusso”. Sulla fraternità fra i sindacati Bonanni ha invece auspicato più “accordi”, quando ci saranno “saremo tutti insieme”. Poi il segretario è corso dentro al Palazzo del turismo ricccionese a dibattito con Enrico Cucchiani, presidente di Allianz Spa. Unico uomo di azienda intervenuto alla tavola rotonda, spende parole per i giovani che “daranno un giudizio su ciò che si è fatto nei confronti della crisi”, poi i numeri: 30, 120, 48, 87.

Il 30% di disoccupazione giovanile e il 120% del debito pubblico sul Pil – in Grecia nel 2009 era al 119%. Italia al 48° posto nella classifica per competività economica e 87° per libertà economica. Il 90 ci sta tutto, “la paura”. Debito pubblico da 1890 miliardi di euro, il costo del mutuo Italia è circa del 6%, e solo con l’aumento di punteggio dello spread si parla di 19 miliardi l’anno. Insomma la manovra da 40 miliardi di Tremonti, spiega Cucchiani, non servirebbe a un fico secco. Meglio abolire le provincie “14 miliardi l’anno”, e cambiare governance, lascia intuire il manager auspicando un “miglioramento della classe dirigente nel pubblico e nel privato”. Per cui maggiore trasparenza, rispetto del prossimo e etica del lavoro, meritocrazia, cose insomma invalse da sempre dentro al Pdl.

Bonanni, foto Espr3ssioni

Segue l’incontro fra Alfano, Flavio Tosi, sindaco di Verona, Latorre, senatore Pd, e l’onorevole Fioroni, anche lui in minoranza. Modera Maria Teresa Meli, giornalista del Corsera che saluterà al termine del dibattito il Guardasigilli baciandolo. Smack, smack.

“Il Paese attraverso la crisi: uno sguardo al futuro”, è il titolo del panel. Il buio. “Sono assolutamente favorevole alle intercettazioni perchè servono a scoprire i criminali” -ma va-  “non è giusto che vengano pubblicate quando ledono l’onorabilità di una persona che non c’entra nulla con l’inchiesta”, applausi. Alfano esordisce perciò con la questione intercettazioni, imboccato fra l’altro dalla giornalista che riferisce al ministro della proposta di legge del Pd ricalcata sul ddl Mastella dai tempi di Prodi. No problem, Alfano ha il suo: “abbiamo un testo che fa la navetta tra la Camera e il Senato ormai da tre anni, abbiamo intenzione di proseguire su quel testo”, ma le aperture di “Bersani sono interessanti”. Visto mai. Il senatore Latorre sembra spezzare una lancia per un minimo di coerenza nel Pd: “le intercettazioni non sono la priorità”, salvo poi però dire che rivoterà il rifinanziamento della missione in Libia, perché la politica estera non può dipendere dai dissidi interni. Il ministro della giustizia, incredulo, di lì a poco si soffierà il naso e si asciugherà la fronte con lo stesso fazzoletto. Primarie. Nel Pdl “non abbiamo bisogno di convocare il nostro popolo per stabilire che il nostro leader è Berlusconi”. Chi pensava alla Carfagna?

La parola passa anche a Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona, che non manca di calcare la mano sui dissidi Maron-bossisti: c’è una dialettica interna al partito, Bossi decide. Il tutto svanirà con metafore da pescheria, la giornalista chiede ad Alfano come rispondere a D’Alema che lo apostrofa “delfino” e lo avvisa a stare “attento ai capi quando i capi sono degli squali”. Alfano se l’era preparata, risposta immediata: “in politica è meglio non affidarsi ai cetacei”. Qui “Dove va l’Italia”, Riccione.

Pubblicato Dazebaonews

Attenti al Pd, can che abbaia non morde.

Berlusconia, Opposizione?

Di Andrea G. Cammarata

-“Ehi Bersì! Hai visto, abbiamo vinto!”

-“Lo so Bindì, e anche stavolta non abbiamo fatto un cacchio!”

-“Eh cosa vuoi, dicono che sono brutta, meglio non farsi vedere troppo”

Che la caduta del berlusconismo è cosa del berlusconismo…un sistema auto-pulente, si sapeva. Silvio ci sta provando oltre modo, eppure non riesce ancora, e quegli ingrati del Pd non lo aiutano nemmeno. E ieri B. ha concluso la conferenza stampa con il premier israeliano Nethanyau accennando ai cronisti, come un Argan di altri tempi, cosa raffigurasse l’opera di Andrea Appiani alle sue spalle: “il bunga bunga del 1811“. Impossibile non ridere poi sui particolari. Berlusconi, meteorino per caso, si volta verso l’opera e indica: “quello sono io – il dio dell’Olimpo seminudo- e questo si chiama Mariano Apicella”.

Intanto pare che Bersì abbia cominciato ad arrotolarsi, oltre che le maniche di camicia anche i pantaloni e i calzetti, pur di nascondere che il Pd non sta facendo niente. Ieri sera Bianca Beringuer per lo speciale elezioni di Raitre ha tentato di mettergli contro Quagliarello del Pdl, e Bersì si è fatto scovare più volte dalle telecamere sull’orlo dell’addormentamento. Il segretario del Pd consumandosi le mani sul volto stanco ha poi tentato una replica indiana alle promesse di cambiamento pidielline, “saltate a cavallo e poi scendete dall’altra parte”. Ma la Bermetafora migliore è “Fin che la barca va”. Che il Pd la lascia andare…I piduini insomma vedono il piatto servito ma non sembrano credere ai loro occhi, e timidamente invocano le dimissioni del Premier salvo poi scoprire che Tonino Di Pietro dice “no”, “non politicizziamo il voto del referendum”.

Ieri più di 25 milioni di italiani si sono opposti al legittimo impedimento, quesito che tradotto è stato una domanda a risposta multipla, pro o contro il premier. Contro.

Berlix avrà pronta un’altra pozione magica per risollevarsi dalle sberle degli amici suoi [I servi liberi del Cav] e degli altri, oppure stavolta è arrivato il viagratis definitivo, l’alzabandiera bianca della resa?

Ma cosa importa, “Chi rompe paga e i cocci sono i suoi” dice il proverbio…Bersani: “io non ho rotto niente”.

RAZZISMO & GIORNALE

Berlusconia


Di Andrea G. Cammarata

“Non è un luogo comune quello degli zingari che rubano, rapinano e ammazzano” (Il Giornale)

Ghiotta opportunità di razzismo feroce per il Giornale, “I fratelli rom di Vendola uccidono un ragazzo a Milano”, titola così oggi il quotidiano di via Negri il suo articolo xenofobo a firma Paolo Granzotto. La cronaca onesta avrebbe scritto di 4 fratelli, due minorenni, che in fuga dopo una rapina travolgono tragicamente un automobilista milanese di 26 anni, uccidendolo.

Granzotto: “Dopo aver svaligiato un negozio, quattro nomadi si danno alla fuga su un’auto rubata e travolgono un ragazzo. «Vogliamo abbracciarli tutti», diceva Nichi. Lo faccia adesso.

“Non è il caso di trarre conclusioni azzardate – leggi  «qui lo dico e qui lo nego» di berlusconiana memoria -, ma il raid dei quattro zingari minorenni e il suo drammatico esito sembra proprio dar ragione a quanti paventavano una zingaropoli.”

Al direttore del Giornale, Sallusti per Berlusconi, il giornalismo corretto risulta ormai in disuso: si fanno spazio invece propaganda, disinformazione, manipolazione delle notizie, fango, alchimie da stregoni che oggi pervengono per l’ennesima volta a un risultato chiaro: razzismo. Attacchi insulsi all’opposizione. Prima Vendola nudo, con la foto in prima pagina di decenni fa. Poi Vendola colpevole di parole umane sui rom “vogliamo abbracciarli tutti”, era la campagna elettorale delle amministrative.

Scrive Granzotto a termine del pezzo nei riguardi della vittoria di Pisapia:

“il problema non è solo del sindaco mite ed elegante, ma dei milanesi che si sono fatti incantare dal populismo buonista che hanno abboccato all’amo della ventosa demagogia del pugliese con l’orecchino.”

Di certo c’è che “il pugliese con l’orecchino” ha fatto pulizia politica a Milano rimuovendo una governance che aveva fra l’altro come organo di partito Il Giornale. Otto i milioni di finanziamenti pubblici per il quotidiano dell’uomo più ricco d’Italia. Di più. Con la sconfitta e il progressivo sgretolamento del Pdl, le promesse di “cambiamento” del sultano non giurano nulla di nuovo, il suo organo -di partito-  è in sostanza ancora solo paura, odio del diverso, fango. Di destra “sana” neanche l’ombra. B. è roba da vecchi, “muffa” ha detto di recente ai berlusconiani Marina Terragni del Corriere della Sera. Berlusconi: colui che “ha fottuto l’Italia”, titolava The Economist. E con Sallusti sembra avere in nostalgia le leggi razziali del fascismo, ma parrebbe ovvia la questione che più gli sta a cuore: razzismo in virtù di lotta alla sinistra. E Mussolini, a simil maniera, fece inizialmente infatti dell’antisemitismo lo sfondo dell’antibolscevismo.

Pubblicato Dazebaonews

Ferrarate: in scena al Caprarica i servi del Cav.

Berlusconia

Di Andrea G. Cammarata

Al termine della mattinata politica romana si è concluso il primo vero processo politico al Cavaliere, in arte titolato “adunata dei servi del Cav.”, momento di dibattito organizzato da Giuliano Ferrara al teatro Capranica. Presenti fra gli altri invitati i manager degli house-organ del centrodestra: Sallusti per il Giornale, Belpietro per Libero, Mario Sechi direttore del Tempo e il ritrapiantato Vittorio Feltri  -questa volta in veste di editorialista- al giornale di Paolo Berlusconi. La platea è piena, sul telone bianco dietro al palco si staglia un mezzobusto di Berlusconi in fotografia, sembra guardare -simil Grande Fratello- i suoi adepti sputtanarlo. Ferrara stamattina lo scriveva dall’account Twitter del Foglio: “alle 10 facciamo la festa al Cav…”, non più tardi a passi pesanti aprirà le danze funeree del bunga bunga degli amici di Silvio: “siamo qui riuniti per reagire al disastro. Non possiamo far finta che non sia succeso nulla. Siamo arrivati male alla sconfitta”, un po’ poetico: “La stella di Berlusconi brilla solo per una minoranza”, e ancora “non può solo fare l’espugnatore di procure. Deve fare il presidente del Consiglio”.

La sottosegretaria Santanché, anche lei fra i “servi”, è intervenuta all'”adunata di quelli che hanno rovinato Berlusconi”, come è stata definita da alcuni la “Ferrarata” romana dell’elefantino. Dal canto suo madame finesse ha esordito con un “non fingiamo di non avere perso”, e poi “perdiamo perché Berlusconi non comanda più. -aggiungendo- Deve tornare a comandare di più”.

Comica l’on. Mussolini ha invece sbeffegiato Lettieri paragonandolo a un “agente Tecnocasa”, e poi il confronto con l’altro ex-candidato sindaco dell’opposizione: “è uno bello ‘uaglione De Magistris”, così sulla disfatta “assurda” di Napoli dopo un “ventennio di sinistra”. Mussolini ha chiesto anche maggiore democrazia all’interno del Pdl, lamentando la scelta, imposta da quei “quattro”-i soliti noti-, di Alfano a segretario del partito.

Il neoministro per la cultura Galan è comparso, meno poetico e lecchino del suo predecessore: “Non abbiamo mantenuto le promesse ecco perché abbiamo perso” -per poi aggiungere- “ma dove lo troviamo un pazzo che si candida contro Berlusconi”. E ancora: “non abbiamo abbassato le tasse, abbiamo fallito la rivoluzione liberale”.

La giovane ministro Giorgia Meloni: “più che Berlusconi dobbiamo mettere in discussione tutto il resto”.

Pressoché unanime da parte degli intervenuti il gradimento per le primarie, a favore si schierano: Mussolini, Meloni, Galan, Sechi, ancora indecisa l’on. Santanché. Belpietro ha invece detto che Berlusconi teme le primarie poiché sa che sono la certificazione della ricerca del suo successore, commentando peraltro dubbioso su Angelino Alfano, la cui nomina a segretario è stato “un modo per perdere tempo, non per risolvere il problema”. Il direttore di Libero, lapidario oltre che di nome, ha poi infierito sul tema processi: “Berlusconi ha fallito sul fronte della giustizia”, per poi concludere lanciando un’altro sasso “Berlusconi smetta di parlarci dei problemi senza darci soluzioni. Lo faccia per il Paese, o il centrodestra muore”.

Dal palco sono intervenuti anche alcuni giornalisti dichiarati dell’opposizione, Ritanna Armeni, Piero Sansonetti, ma anche Marina Terragni del Corsera e attivista di sinistra.

Sansonetti, pur avendo espressamente richiesto i fischi dalla platea, ha tessuto un elogio berlusconiano di tutto rispetto, lodando addirittura il garantismo pidiellino e non mancando apprezzamenti per Silvio: creatore della nuova destra italiana dopo il fascismo, inventore a sua volta dell’antiberlusconismo, categoria poi rozzamente da lui mutata in comunismo. Il giornalista per Berlusconi ha infine servito il piatto goloso del presidenzialismo di stampo francese o americano, auspicando quindi dopo l’abolizione della legge porcellum: “ritorno al proporzionale e una repubblica presidenziale”.

Pièce teatrale perciò al limite fra vertice reazionario dei dissidenti del Pdl  e processo all’imperatore. E i servi sono parsi i figli che parlano male del padre in sua assenza. Sallusti, durante il dibattito, tenta ancora di ribaltare la frittata: “Ferrara sta mettendo in scena un regicidio, vuole trasferire al popolo i poteri del re Berlusconi”. Zio Fester ha bacchettato i traditori anche così: “non si può riformare il Pdl: deve essere un partito al servizio di Berlusconi, ogni altra forma è perdente”. Ha suggerito anche in perfetto stile fascista che “quando il partito si mette al servizio delle intuizioni di Berlusconi si vince.” Chiude Vittorio Feltri auspicando pure una reazione, discorso breve prima del pranzo: immunità parlamentare a manetta “per non lasciare il paese nelle mani dei giudici” e la piazzata: “se l’avversario è Bersani e noi nel 2013 perdiamo le elezioni, mi sparo”.

Erano gli smutandati del teatro del Verme di Milano…Anche se per questa occasione Ferrara avrebbe invece dei mutandoni voluto “il lutto al braccio”, stavolta insomma alla Capra-nica di Roma si è mangiato la foglia amara della sconfitta delle amministrative, berlusconiani sì, ma perspicaci.

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Armando Spataro: “reagiamo”, presentato l’ultimo libro a Rimini.

Berlusconia, Recensioni e Interviste, Rimini

Armando Spataro

Di Andrea G. Cammarata

Armando Spataro, procuratore aggiunto al tribunale di Milano, ha presentato ieri, presso la sede della Cgil di Rimini, il suo libro “Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa” (Laterza). 

Il magistrato, protagonista della lotta al terrorismo rosso, già componente della Direzione distrettuale antimafia, membro del Csm fino al 2002, ha optato per un libro voluminoso, 575 pagine che raccontano, fra l’altro, valutazioni giuridiche, ma anche emozioni, esperienze personali e professionali.

Una di queste è stato il sequestro del presunto terrorista egiziano Abu Omar, di cui Spataro si è occupato. Vicenda che ha scatenato più reazioni contro il normale corso della Giustiza da parte di due governi; prima Prodi e poi Berlusconi posero il segreto di Stato su alcune prove riguardanti la responsabilità nel sequestro di appartenenti ai servizi segreti italiani.

“Un fatto -dice Spataro-  che mi ha sconvolto, ho persino mutato il mio modo di pensare il rapporto tra le istituzioni”. La vicenda di Abu Omar, vittima di atroci torture, è uno di quei casi in cui “si fa la lotta al terrorismo al di fuori della legge”, nonché -continua il magistrato- l’ennesima “dimostrazione di come il potere politico mal sopporta quel controllo di legalità che la Costituzione e le leggi attribuiscono alla magistratura”.

Arriva un momento nella presentazione in cui poi non è difficile alludere di nuovo al capo del Governo: “l’azione di accertamento delle responsabilità dei reati, non sono condizionabili agli interessi, ai programmi e a tutto ciò che costituisce l’oggetto della politica”, Spataro cita quindi indignato le parole di Silvio Berlusconi: “come è mai possibile che un semplice funzionario dello Stato, vincitore di concorso, possa indagare e incriminare chi, eletto dal popolo, è legittimato a governare”.

Si evince per cui dal ragionamento del magistrato la chiusura nei riguardi dell’atteggiamento palesemente anti-costituzionale della coppiata Alfano-Berlusconi, soliti nell’affermare che “nel nostro sistema non esistono tre poteri, ma due poteri e un ordine”, con conseguente delegittimazione dell’indipendenza del potere giuridico.

Altro di repertorio dal signor B. “nessuno può pensare che i governi combattono il terrorismo con il codice in mano”, quanto riporta duramente Spataro alla memoria dell’amico magistrato Guido Galli, trovato morto, proprio con il codice nelle mani, durante la maxi-inchiesta sul terrorismo negli anni ’80.

In “Ne valeva la pena” si leggerà quindi un elenco di 24 magistrati uccisi, di questi 10 dal terrorismo e 14 dalla mafia. Duro il “reagiamo” di Spataro, il lavoro di magistrato va svolto “qualunque siano le condizioni, le aggressioni, gli insulti, i manifesti, e ciò non può intaccare minimamente la determinazione con la quale bisogna andare avanti”.

Il dibattito prosegue poi sul processo breve, apostrofato da un accademico come “la truffa delle etichette”, e riforma costituzionale della Giustizia: l’obbligatorietà dell’azione penale è “garanzia di uguaglianza per i cittadini di fronte alla legge”, -spiega Spataro- la cosiddetta riforma epocale della Giustizia “rischia di alterare i principi fondanti del nostro sistema di giustizia”.

Quanto alla voglia della maggioranza di far tacere la voce dei magistrati, Spataro risponde “vero che il magistrato parla solo con le sentenze, bello ma è ideale. -continua- Noi abbiamo l’impegno per cui è opportuno alimentare il dibattito. Io sento il dovere di parlare.” Spataro cita poi l’esempio del collega Paolo Carfì più volte offeso a uno dei processi Previti da lui presieduto, e che “ebbe a subire proprio due infarti dopo il processo e ci fu un noto avvocato che disse: peccato che non è morto”.

Nel suo libro, Spataro racconta anche l’inaugurazione di un anno giudiziario in pieno fascismo e scherza: “all’epoca la cerimonia si teneva a palazzo Venezia, residenza del Duce, come se oggi si tenesse a Palazzo Grazioli, tanto per intenderci”, in quell’ occasione l’ANM, tanto “vituperata”, decise di auto-sciogliersi “per non trasformarsi in un sindacato fascista, come lo chiedevano le leggi di allora”. Immagine forte che ha posto a confronto una magistratura sottomessa al Duce e un’agognata separazione della carriere giudiziarie dal governo Berlusconi, con il tentativo di sottomissione dei Pm al potere esecutivo.

Spataro poi spazierà sugli slogan governativi dei successi nella “lotta alla mafia” di cui Maroni-Alfano-Berlusconi si prendono paternità e glorie, risultati conseguiti in verità da Polizia giudiziaria e magistratura, quindi -spiega Spataro sottolineandolo- “non grazie al Governo, ma Nonostante il Governo”.

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